Certe cose non cambiano mai.
Altre, per fortuna, sì.

lunedì 8 aprile 2013

One week (and the beat goes on)

Una settimana fa a quest'ora non avevo ancora sentito la profonda bellezza del "tu sei una bomba ma restiamo amici". Probabilmente stavo pure un po' meglio, ma alla fine non posso dire che ora io sia proprio sotto a un treno.

I primi momenti sono quelli che lasciano più frastornati.
Ma come, non ci sei più? Non chiami? Non mi cerchi? NON MI VUOI PIU'?

Poi, per fortuna, parte una minima connessione cerebrale che porta a ragionare. Il frutto di questo popò di ragionamenti non è proprio gaio e felice. Inizi a pesare un po' meglio le parole, a chiederti quante volte quello che ti è stato detto è stato proprio la-verità-tutta-la-verita-nient'altro-che-la-verità.

Ma questo è quello che riguarda il ragionamento ancora legato, inevitabilmente, a lui.
Poi, per fortuna, c'è la parte legata invece a ME.

Alla me che chiama la sorella quelle ennemila volta al giorno, che ogni volta chiede "ti rompo?" e ogni volta si sente rispondere "che dici, smettila... dai, racconta".

La me stessa che cerca il conforto, o lo sfogo, con gli amici, che la ascoltano e non la consolano con fare paternalistico, ma la spingono a vedere la realtà per quello che è. Senza demonizzare o beatificare nessuno, prendendo il buono che è venuto ma senza per questo tenersi il brutto appiccicato addosso.

Soprattutto la me che ha voglia di divertirsi, che vuole ricostruirsi un po'. Che cerca nuovi corsi di ballo, che cerca cose belle da fare, che vuole vedere mostre di quadri scemi e andare a fare aperitivi.
La me che va a trovare amici splendidi che chiacchierano con lei e ridono con lei e la riempiono anche di cose buone da mangiare, che "ti vedo dimagrita, bella mia...".

La me che vuole continuare a impegnarsi in quello che faceva prima, il suo lavoro, la ricerca della casa nuova, la sua attività.
E il cuore continua a crederci, e a battere un ritmo buono.

lunedì 1 aprile 2013

Tu, ah tu.

Tu, che stasera vieni da me e mi dici, dopo mesi di frequentazione intensissima e semi-ossessiva, che siamo amici. AMICI. Che su quello dobbiamo costruire, creare valore, ma che non c'è altro.
(amo la parola amici. Non la voglio vivere come una sconfitta, come un vorrei-avere-altro-ma-non-posso-e-mi-tocca-accontentarmi-di-questo...)
Tu che lacrimi.
Tu che te ne vai e io chiudo la porta. E il silenzio mi atterrisce.


Due giorni appena trascorsi con un calore, un amore che da tempo non sentivo.
Il giorno di Pasqua mia cugina mi ha accolto a casa, mi ha prepara un pranzo ottimo, e insieme al suo compagno mi hanno ascoltato raccontare della mia vita nuova, del lavoro, di quello che faccio e che vivo, e sì, di te, certo.
Forse sono stata un po' pesa coi discorsi su di te, eh? Sai che palle... Ma mi hanno ascoltato, e poi abbiamo passeggiato, e poi lei mi ha anche fatto il trattamento shatzu bellissimo e mi sono sentita avvolta in questa rete di calore, di cura che fa bene all'anima.

La sera un amico mi ha accolto, anche lui, e l'ha fatto parlando con me della sua visione dell'Universo e dell'energia che permea ogni cosa, del vivere le sfide e del non sottrarsi a quello che ci viene incontro. Ma l'ha fatto anche ridendo con me e portandomi a ballare boogie e facendomi incontrare altri amici che mi hanno abbracciata, e sono stati felici di condividere la serata con me.

Oggi mi sono trovata in un gruppo di vecchi amici che io conoscevo solo superficialmente, e non mi sono sentita di troppo o da sola un attimo. Ho riso, scherzato, mangiato, grigliato (quale miglior cliché per pasquetta?) bevuto e quando sono andata via, per tornare a casa e vedere te e sentire quello che ho sentito, beh ero felice. Ero tranquilla. Un po' nervosina, ma consapevole della mia fortuna di aver potuto trascorrere due giorni di festa in ottima compagnia.


Questa sera, nella casa silenziosa, analizzo cosa sento. E mentre lo faccio mi arrivano messaggi di amici con
cui ho parlato e mi dicono di stare tranquilla. Di mia sorella che mi dice "ti chiamo prima di dormire" e so che lo farà davvero, lei. Mi dicono che non sono sola, che non sto rischiando di annegare in un mare di disperazione ma sto solo affrontando una fase nuova della mia vita. E posso trarne il meglio. Posso fare di me ciò che voglio.


 E quando me ne andrò a letto e al buio mi salirà quella malinconia da fine-di-qualcosa-di-bello io mi terrò stretta gli abbracci, e le parole, e i sorrisi, e i momenti preziosi di questi due giorni e a quelli legherò i miei sogni, senza farmi trascinare da altro.






(Io mi sa che inizio iscrivendomi a un corso di burlesque, se non costa un mutuo).

giovedì 28 marzo 2013

Non è un post.

Forse è rabbia. O è una specie di richiesta di... aiuto, non mi piace chiedere aiuto.
E' una richiesta di orecchio? Forse.
E' qualcosa che esce da dita nervose che battono tastiere un po' seccate da tanta insolenza, che a sentirle dall'altra stanza potrebbero parere piccoli schiocchi di frusta.

La noncuranza fa male. Questo è il centro.
La noncuranza mia, verso le cose belle e buone che ho e verso il mio poter essere felice. Verso le mie fortune che faccio passare in cavalleria, così, come fossero ovvie, scontate. E queste fortune, che vorrebbero essere apprezzate e accolte a sorrisi e battiti di mani si adombrano un po', e s'allontanano.

La noncuranza altrui, dove l'altro è uno, uno solo ora, dove l'altro è chi professa bene ma senzasbilanciarsi, dove ci si cerca ma non per donarsi fino in fondo, (per cosa allora, occupare il tempo? Non stare soli? E' paura? Come la trova la sua strada l'amore in mezzo alla paura?...), dove non si ha tempo per leggere un libro. Quel libro.

La noncuranza altrui è quella che fa venire il mal di pancia devastante, che per un giorno intero non mangi niente. E il tuo cervello elabora, pensa, partorisce, confeziona, scarta e ricrea idee e pensieri che a sera sono un gomitolo sformato di malessere.

Io sono una persona fortunata.
Perchè in mezzo a questa noncuranza, mia e altrui, una persona amica mi dice una cosa che mi fa riflettere, mi fa pensare a cosa posso fare, ed essere: non investire le tue energie in cose che non dipendono da te. Fallo per le cose che TU puoi cambiare.

E io mi tengo il mio mal di pancia, e le rabbie e quelle punte di delusione che trafiggono come coltelli, getto via un po' di noncuranza e ricomincio da ME.


giovedì 14 febbraio 2013

E' fatta!

Ebbene sì.
Dopo mesi (quasi quattro, paressero pochi...) di ricerca lavoro in una città nuova, di conoscenze che si trasformano in amicizia, di fatica, di allegria, di sconforto, di scoperte, di momenti d'arresto, di ripensamenti, di lacrime e di rialzarsi in piedi, di risate e di nottate allegre, di cene golose e di porte sbattute, dopo colloqui risolti in nulla e altri di grande soddisfazione, io oggi ho firmato il contratto di lavoro qui a Torino.
Il 20 inizio a lavorare.
In un posto fico, di gente che sembra felice ed ansiosa di avermi a bordo.


La Tina a Torino è venuta per restarci.

Vabbè non sono io che firmo, ma giusto per capire l'importanza del momento...

mercoledì 30 gennaio 2013

Buone intenzioni a parte.

Periodicamente ci ricasco.
Cado in quel bisogno di aprire la diga del "memiseraetapina, nulla va come vorrei, ogni cosa è complicata, ne imbroccassi una festeggerei..." e mi aspetto, pirla io, di essere ascoltata.

Che poi, a me, quelli che ti compatiscono per qualsiasi cosa accada stanno anche antipatici. Quelli del "uh poverina, chissà che fatica, ma capitano tutte a te, ma non è mica colpa tua" non li posso cecà.

Però se vedi che il livello della mia pressione sale a livelli di guardia e mi si crepa la fronte a forza di rughe e se non parlo scoppio, cacchio, fammi parlare.
E' un cortese invito.

Invece in alcune occasioni nei giorni passati mi sono trovata davanti un sacco di "ah beh!"
"Ah beh se fai così allora non otterrai nulla.
Ah beh se dici questo allora non hai capito lo spirito della lotta.
Ah beh se pensi così che senso ha continuare?
Ah beh allora tu vuoi solo lamentarti."

Allora. So' femmina, so' pure cacacazzi a volte, e sì mi può capitare di imboccare questa strada fatta di rimostranze al destino infame che mi assesta una mazzata sulle gengive ogni quarto d'ora, così per sport.
Ma non passo la mia vita a cercare comprensione e compassione, ho solo voglia di essere ascoltata.
Credi che le mie siano lagne inutili, dannose per il microclima terrestre, una pippa assurda da stare a sentire?
Fai lo sforzo, ascoltami e DOPO spiegami per filo e per segno dove e perchè sbaglio.

Se ti riesce, non farlo appena io apro bocca, perchè così ottieni il duplice effetto di farmi girare le balle a giostra e non farmi sfogare, così che anche se dici la cosa più saggia del mondo a me viene da fare a gara di schiaffi sulla tua faccia.



Io le capisco le buone intenzioni di chi dice "ti fermo subito perchè tanto non ti serve parlare di queste cose", ma vorrei essere accolta anche nel mio sciocco e improduttivo sfogo.
Perchè se non lo tiro fuori mi viene un nodo di nervi fra il cervello e il cuore che mi strozza.

(Poi passa, eh. Poi passa)
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