I primi momenti sono quelli che lasciano più frastornati.
Ma come, non ci sei più? Non chiami? Non mi cerchi? NON MI VUOI PIU'?
Poi, per fortuna, parte una minima connessione cerebrale che porta a ragionare. Il frutto di questo popò di ragionamenti non è proprio gaio e felice. Inizi a pesare un po' meglio le parole, a chiederti quante volte quello che ti è stato detto è stato proprio la-verità-tutta-la-verita-nient'altro-che-la-verità.
Ma questo è quello che riguarda il ragionamento ancora legato, inevitabilmente, a lui.
Poi, per fortuna, c'è la parte legata invece a ME.
Alla me che chiama la sorella quelle ennemila volta al giorno, che ogni volta chiede "ti rompo?" e ogni volta si sente rispondere "che dici, smettila... dai, racconta".
La me stessa che cerca il conforto, o lo sfogo, con gli amici, che la ascoltano e non la consolano con fare paternalistico, ma la spingono a vedere la realtà per quello che è. Senza demonizzare o beatificare nessuno, prendendo il buono che è venuto ma senza per questo tenersi il brutto appiccicato addosso.
Soprattutto la me che ha voglia di divertirsi, che vuole ricostruirsi un po'. Che cerca nuovi corsi di ballo, che cerca cose belle da fare, che vuole vedere mostre di quadri scemi e andare a fare aperitivi.
La me che va a trovare amici splendidi che chiacchierano con lei e ridono con lei e la riempiono anche di cose buone da mangiare, che "ti vedo dimagrita, bella mia...".
La me che vuole continuare a impegnarsi in quello che faceva prima, il suo lavoro, la ricerca della casa nuova, la sua attività.
E il cuore continua a crederci, e a battere un ritmo buono.